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     L A   T A V E R N A     

     COMUNICATO, PREFAZIONE, COMMENTI    

     COMUNICATO    

Venerdì 5 dicembre una calda sera autunnale ha fatto da cornice alla presentazione del libro “La Taverna” di Aldo Galeano presentato nella Chiesa  Madre di Monteiasi.  Non è la prima volta che il socio più anziano ed autorevole del Gruppo Anonimo ’74 si cimenta con la scrittura (basti citare  “Le cave di pietra” e recentemente “Antoglietta e Ungaro in terra di Monteiasi”), ma questo romanzo breve rappresenta  il suo battesimo del fuoco come autore. Molti gli amici e simpatizzanti che hanno voluto condividere questa sua nuova esperienza , prima su tutti, la Presidente del Gruppo,  Giovanna Matichecchia, che nonostante i  diversi problemi di salute ha voluto presenziare all’evento per supportare l’amico  fraterno Aldo. Protagonista assoluto è stato il libro e le vicende della giovane Gialinarda a cui fanno da sfondo le terre seicentesche del Casale di Monteiasi e i personaggi (in parte storici) che le ruotano intorno. La parte tecnica è stata affidata al Critico d’Arte e Giornalista, Gianni Amodio, che ha  recensito minuziosamente  l’opera letteraria. Come indica il verbo latino "rĕcensēre", l’illustre ospite ha esaminato, passato in rassegna, analizzato le tematiche trattate, fatto riflettere sui contenuti del testo raccontando la trama ma senza svelarne il finale, invogliando i potenziali lettori  a leggere il libro  fornendo  gli strumenti per avvicinarsi allo scritto nel modo più consapevole.

La prefazione è stata affidata ad una sempre disponibile Enrica Saracino, Dirigente Scolastica dell’Istituto Comprensivo  Monteiasi-Montemesola. La prof.ssa Saracino ha ringraziato per l’opportunità fornitale manifestando  la propria vicinanza  alle vicende culturali del Gruppo Anonimo ’74 e del professor Galeano supportando ben volentieri le iniziative che le vengono di volta in volta proposte. Ella ben ha espresso in questa sorta di capitolo introduttivo all'opera stessa di condividere lo spirito narrativo dell’Autore anche per  la sua identità storica appartenente alla vicina Grecìa Salentina:  il mondo antico con i suoi mestieri, i suoi linguaggi e le sue tradizioni; delineando in modo imparziale alcuni aspetti dell'opera e del lavoro dell’ autore , il quale spesso fornisce delle proprie chiavi di lettura attraverso le foto e i documenti storici raccolti faticosamente negli anni e custoditi presso l’Associazione o ritrovati nell’archivio della Chiesa san Giovanni Battista.

Chi ha reso possibile tale prodigio è stato il Prof.  Piero Massafra della casa editrice Scorpione che ha creduto fin dal principio nella capacità letteraria di Aldo Galeano, nella sua incredibile conoscenza storica del territorio e nella validità culturale di questo libro.

Entusiaste del progetto anche Carla Sannicola, animatrice instancabile del GAL Colline Joniche e la consigliera regionale Anna Rita Lemma che non hanno fatto mancare il loro positivo intervento, così come il parroco don Emiliano Galeone che ha reso possibile la presentazione del libro grazie alla sua pronta ospitalità.

Oltre alla parte tecnica il libro è stato fatto degustare ai presenti anche attraverso la lettura di alcuni brani a cura dei lettori: Amalia Longo, Nunzio Grottoli, Giovanni Marinelli e Michele Santoro e ai bambini del laboratorio “Nati per Leggere” che hanno dato vita al racconto attraverso  brevi stacchi musicali rigorosamente “improvvisati” con i batteristi in erba Ginevra Santoro, Myriam Marinelli, Matteo Goga, Christian Bucci, Cristian Monteleone e drammatizzando i punti più salienti della trama con la spontaneità tipica della fanciullezza con i  piccoli attori Antonio e Anna Rita D’Errico, Alice Marinelli, Antonella Nigro, Caterina e Giulia Lucrezia Petricciuolo, Francesco Cassone ed il suo papà Tony che si è saputo mettere in gioco; un grande grazie va alla bella Gialinarda che ha avuto il volto di Sarah Motolese sempre pronta a dire sì insieme a Cosimo Pio Parabita che riveste sempre degnamente il ruolo clericale.

                                                                                  Anna Maria Monteleone

ALDO GALEANO

 

LA TAVERNA

 

Editrice Scorpione

 

Nella Locanda delle sette virtù

 

                                                                                                                                    Di Giovanni AMODIO

 

Gialinarda, compare come parola prima nel racconto che Aldo Galeano ricrea con arguzia, con pietas e nell’intento di modellare un personaggio singolare, intorno al quale si snoda in verità una necessità filologica di studio e il retaggio di una evocazione della civiltà contadina, nel suo contesto di memoria e di metafora, nei luoghi, nelle parole, negli oggetti.

Aldo Galeano conscio di quanto affermato da Italo Calvino, avverte come: “il racconto in ogni caso è una operazione sulla durata, un incantesimo che agisce sullo scorrere del tempo contraendolo o dilatandolo”.

Gialinarda è uno di quei personaggi sfumati ed eterni, che germogliano e sfuggono dalle mani dello stesso autore, assumendo valore di prototipo dell’universale umano, dove i contesti, i conflitti, le istanze simbolicamente riflettono i problemi e le contraddizioni, sia della vita del singolo, sia di quelle generali.

La civiltà contadina, che Aldo Galeano da decenni studia ed esplora con encomiabile entusiasmo e competenza, spesso inserita ai margini della Storia, rientrando nel concetto di “periferia dell’impero”, si va riscoprendo nella sua visione memoriale e friabile, anche attraverso la sua verità poetica.

Se l’intera azione del racconto riveste l’unità di luogo nella TAVERNA di cui al titolo dell’opera di Galeano, questa rievoca la “Commedia Tabernaria” del teatro latino.

L’autore focalizza la location dell’azione, del destino e dell’allegoria ricordando il Manzoni quando indica:

“Lì c’era una taverna che si sarebbe anche potuta chiamare Corpo di Guardia”, una dependance di separazione dal Palazzo Baronale, che la Masseria riservava al solo padrone.

Gialinarda, districa la sua vicenda, tra soprusi, stupri padronali, promiscuità di convivenza, nella naturalezza della sua accettazione probabile e improbabile di vita all’interno della Taverna nella sua vera forza di maternità, da preservare ad ogni costo, e si rivela anima indomita, che non si sfalda nella precarietà della sua esistenza.

La dolente tristezza innalza il suo vessillo eroico e si pone nel concetto reale e letterario del senso profondo dell’ ATTESA, quella temporale e quella metafisica.

Come il Godot di Beckett, non conosce né il punto di partenza, né quello di arrivo, non conosce il suo stesso nome e su di lei disserteranno l’Estragone e il Vladimiro di turno (ora Straccillo e Cataldo).

Lo spazio ristretto della Taverna rappresenta un microcosmo di tutto rispetto portando con sé le proprie impronte come le proprie cicatrici.

Ancora un accostamento di agglomerato di attesa si potrebbe rievocare dall’ “Oceano Mare” di Baricco, mentre la Taverna si può ravvisare nella “Fortezza Bastiani”, avamposto ai confini di ogni Masseria, dove domina la desolata pianura dell’anima chiamata “Deserto dei Tartari”.

La Taverna-fortezza, svuotata della importanza strategica rimane solo una costruzione dove elevare a motivo di unica ragione, il senso dell’illusione per una attesa ricca di imprese eroiche illusorie.

Il Tenente Giovanni Drogo nel tema centrale del libro di Dino Buzzati, analizza “la fuga del tempo” come la sua omologa al femminile Gialinarda, la quale aggiungerà al tema dell’attesa quella più eclatante e struggente della attesa di un figlio.

Sempre con l’idea del mondo beckettiano, ogni spazio si restringe per una vita desolata, vuoi nei bidoni, vuoi nelle urne, vuoi in un fosso sulla collina, vuoi in una Taverna dove motivarsi di tante illusioni.

Così Gialinarda ha potuto nell’invenzione letteraria di Aldo Galeano, divenire riferimento nella sua visione quale prototipo simbolico di varie figure femminili.

Con il nome così raro e originale, come nel carattere della giovane, attraverso la sua vicenda, sarà possibile analizzare l’intera intenzione filologica e storica della civiltà contadina che Aldo Galeano ha voluto condensare, offrendocene stralcio letterario e iconico assai pregnante.

Il ricordo corre veloce verso la IANGIUASAND, protagonista dell’eccezionale romanzo “CAPATOSTA” di Beppe Lopez, là dove la ricerca si spinge fino all’invenzione di una scrittura meridionale completamente nuova, senza localismi dialettali configurati e senza luoghi identificabili.

Aldo Galeano, nel recinto della sua Taverna, consolida personaggi, visioni oggetti, modi di dire, usanze, motivi di vita, che trovano amplificazione nel tessuto della trama, con più precisi rifacimenti di fatti attraverso i quali emergono ricordi e memorie d’altri tempi, capaci di attualizzarsi nel dono letterario e in quello dell’infanzia rievocati.

L’apparato iconico, come glossario figurato arricchisce il racconto, divenendo esso stesso studio e ricerca che si concretizzano nella vicenda letteraria.

Entrambi i linguaggi in osmosi estrinsecano la valenza letteraria-saggistica-poetica-storica, da sempre interesse preciso dell’autore e quello del ricercatore, del collezionista, del paladino disinteressato dal lucro, quanto interessato per passione della adorata civiltà contadina con i cui reperti egli ha costruito un invidiabile museo e una serie di libri precedenti, nonché la sua creatura più sofferta che si identifica nell’oramai leggendario Gruppo Anonimo ’74.

Ogni dettaglio oggettistico, indicato col suo nome antico, ogni immagine dei luoghi, dei ruderi, delle mappe, dei volti, dei personaggi, delle masserie, dei palazzi, degli abiti, dei frantoi, della cittadina di Monteiasi (che rappresenta il  Nostos per l’ulissiade avventura dell’autore), distilla la memoria e ne definisce la ri-conoscenza.

Nell’ampio racconto, la scrittura asciutta e piana amena e intrigante, si avvale dell’eleganza espositiva e non di rado di raffinate visioni, attraverso le quali la trama, pur contenuta nei fatti, si amplia e si rende capace di adottare la ricchezza  dell’emblematicità rispetto alla negata convenzionalità, propria della abusata scrittura localistica. In realtà Galeano attualizza la tendenza letteraria “strapaese” di Massimo Bontempelli, mirando ad una vocazione fantastica della realtà sociale che recupera gli elementi autoctoni, attraverso la conoscenza della campagna e l’orgoglio della tradizione agreste.

Galeano se pure meritoriamente specifico e puntuale nella parte iconica, rivelando l’anima del ricercatore attento e appassionato, da scrittore si immerge nella seduzione di una trama minimalista quanto emblematica, nella scansione dei fatti e nella costruzione dei personaggi, tanto vivi e realistici, quanto archetipi.

La nascita del piccolo Pietro Paolo, reca la fine di un’operazione di continuità, che la Taverna custodirà, nella sua metafora di grembo sociale e di inevitabile destino dei suoi avventori-abitanti.

E il lavoro di Aldo Galeano, si configurerà come “opera aperta” nel senso attribuito da Umberto Eco, per le infinite reiterazioni dei motivi e delle morali.

Gialinarda che già dall’incipit ha subìto trasferimenti continui, da un posto all’altro, da una masseria all’altra, da un paese all’altro, approda alla Taverna, con suo figlio, e vi resta?

Ora Gialinarda affronta il suo ’ultimo trasferimento, quello nel cuore di ciascun lettore, avendo avuto come mentore la bontà di Aldo Galeano.

Se un vecchio film ci riporta alla memoria la “Taverna dei sette peccati”, il set letterario di Aldo Galeano tende a rovesciare il senso attraverso una Taverna che annoveri almeno sette virtù.

 

 

     PREFAZIONE    

  • DOROTEA: Questa è un’opera che personalmente ritengo molto particolare, una vera specialità, un mix perfetto tra romanzo e storia.

 

  • GIOVANNI AMODIO: La locanda delle sette virtù. Gialinarda compare nella prima parola del racconto che A. G. crea con arguzia, con pietas nell’intento di modellare un personaggio singolare intorno al quale si snoda in verità una necessità filologica di studio e il retaggio di una evocazione della civiltà contadina nel suo contesto di memoria e di metafora nei luoghi, nelle parole, negli oggetti. A. G. conscio di quanto affermato da Italo Calvino avverte come il racconto  in ogni caso è un’operazione sulla durata, un incantesimo che agisce sullo scorrere del tempo contraendolo o dilatandolo. Gialinarda è uno di quei personaggi sfumati ed eterni che germogliano e sfuggono dalle mani dello stesso autore assumendo valore di prototipo dell’universale umano, dove i contesti, i conflitti, le istanze simbolicamente riflettono i problemi e le contraddizioni sia della vita del singolo sia di quelle generali. …

 

  • ENRICA SARACINO: Ho accettato volentieri di fare la prefazione sia anche di essere qui stasera per la presentazione perché ho sempre seguito nei miei studi con piacere gli scrittori che fanno riferimento al nostro meridione, sia per l’interesse destato in me sia anche perché provengo da un ambiente nel quale è viva la storia e soprattutto la microstoria. Pertanto in  Gialinarda, ho riscontrato subito una profonda somiglianza con la protagonista di una novella di Giovanni Verga, Nedda per l’appunto. In Nedda, in particolare,  ritrovo la stessa ritrosia che si riscontra in Gialinarda per il modo in cui A. G. la descrive nel suo racconto;  mi è piaciuto cogliere anche la presenza di un popolo dimenticato che reagisce e vive pur nella sofferenza; in questo libro io trovo comunque che al di là di quelle che sono le teorie che troviamo nei libri verghiani c’è una luce diversa, c’è una certa benevolenza nei personaggi, c’è una speranza.

 

  • PIERO MASSAFRA: io vorrei riflettere su due aspetti non direttamente collegati al libro ma che il libro certamente propone; il primo è che per iperbole, per esagerazione, credo che sia più facile scrivere la storia di New York che di Monteiasi perché lì ce la caviamo con un paio di cent’anni e qui invece dove scavi, dove ti muovi emerge una continuità di vita, una continuità di rapporti che se non ci fossero, diciamocelo francamente, sarebbe un serio  problema per tutta l’Italia meridionale; queste forze partono dalla trasformazione culturale, di un humus che nasce dalla terra e  finisce nella intellettualità del Sud. La nostra Dirigente parlava di Verga e del verismo. La stagione del verismo nel tentativo di raccontare le cose nella loro verità essenziale, quasi materiale, nel Sud non è mai compiuta; i nostri autori sono sempre tristi, forse perché devono risolvere i problemi fondamentali  della nostra terra cioè quello di dare dignità ad un  passato che un po’ per forza un po’ per tradizione è rimasto legato ad un impedimento verso la grande lezione della civiltà contadina e, per fortuna, perché in alcuni luoghi, questo impedimento, questa barriera di entrare nelle globalizzazioni, nelle confusioni, ecc. ha salvato le comunità. Io noto che i nostri piccoli centri non sono devastati come i nostri grandi centri, perché c’è la resistenza di una continuità, di una consapevolezza. Io sono tarantino di recente conio come tutti i tarantini perché i tarantini  sono tarantini da centocinquant’anni; c’è una preparazione antropica di tre-quattro mila, cinquemila anni però, di fatto, noi, la nostra storia comune, con il Comune cominciamo dall’era di centocinquantanni fa, quella dei fondi dello Stato arrivati per fondare la nuova Taranto; quella di prima è completamente sparita perché non ha avuto motivo di continuità …

            In secondo luogo, dico, che cosa sarebbe stato del Sud se non ci fosse stata questa borghesia intellettualizzata (illuminista, verista,…) che ha preso per le mani la cultura di questo popolo!? Saremmo scivolati in una sorta di meticciato culturale in cui tutto è possibile, tutto è facile; grazie agli Sciascia, ai De Filippo che hanno mantenuto vivo per un certo momento, … questa attualità meridionale ha acquistato il problema del paese; negli anni ’60 il Sud era il cuore del paese e questo creò un movimento anche nei piccoli centri, … la civiltà rupestre che oggi si muove nel mondo, è stata inventata a Massafra; è stata inventata da un professore, da un sacerdote e da un medico. Questa forza della intelligenza, della intellettualità, della cultura, della tradizione del Sud è stata capace di far questo; noi  dobbiamo molto alla ricerca locale; ancora, queste cose non sono nei libri di storia; se non ci fossero tramandate attraverso il passaparola delle comunità, queste comunità, gran parte d’Italia, non avrebbero storia. Questa per me e per l’intera nazione è divenuta una fase irripetibile; in questo modo, siamo usciti da una fase di dominio … ora spetta a tutti noi fare in modo che queste cose arrivino nei libri di scuola perché c’interessa, certo, il tumulto dei Ciompi, ma ci potrebbe interessare anche il fatto che nella Taverna si incontrassero tutti quelli che si incontravano nella Firenze del ‘300, del ‘400, del ‘500; eravamo tutti sotto lo stesso cielo, da qui l’importanza di iniziative di questo tipo.    

 

  • CARLA SANNICOLA: Una serata così non può non stuzzicare una ricercatrice dello sviluppo territoriale. Il mio maestro, Aldo Bonomi, dice che dobbiamo provare a praticare la sociologia con i “piedi”; qualcuno capisce il senso dei piedi? Il senso dei piedi vuol dire che bisogna smetterla di rimanere rinchiusi solamente nelle stanze tristi, bisogna uscire nel territorio, ascoltare i territori, praticare i territori. Questo è quanto, con umiltà, sto cercando di fare anche all’interno del GAL che si compone di ben 11 Comuni e che come ben so è composto dalla fermentazione estremamente attiva delle micro-comunità, dei microcosmi. … L’Italia è l’Italia dei territori; smettiamola di dire che dobbiamo essere come gli altri; bisogna essere fieri  di ciò che è l’Italia; la ricchezza dell’Italia è all’interno delle comunità locali, territoriali che sono di una complessità, di una ricchezza pazzesca, estrema, … Ma perché ho desiderato intervenire!? Perché Aldo, tempo fa, mi ha mandato una mail con una croce, nella quale si diceva che qui è morta la cultura, per intendere Monteiasi; io dico ad Aldo che qui è nata la cultura, perché la cultura non è fatta di strutture, io so bene delle tue battaglie per la biblioteca, per il museo etnografico, ma è cultura; allora continua ad occupartene … e  prendiamo coscienza che in questo modo facciamo il contenuto dei contenitori…; la cultura dev’essere azione anzitutto, quello che avete fatto coi bambini … l’Editore, chi mai avrebbe parlato di Taranto se non ci fosse stato il prof. Massafra! C’è sempre bisogno che qualcuno investa sui territori, politicamente, economicamente, istituzionalmente ma anche culturalmente, anche territorialmente. Vista da Milano la green economy sembra una novità ma non si sta inventando niente nella pratica, perché la prima green economy è stata quella dei contadini … il territorio ha bisogno di persone che investono nel territorio perché ci credono, il territorio deve prendere coscienza di sé …

 

  • ANNA RITA LEMMA: Ho apprezzato molto quanto si è detto finora, io mi occupo di istituzioni; mi rendo conto che a volte le istituzioni sono un tantino distratte; a volte i nostri autorevoli rappresentanti istituzionali non molto antichi hanno detto che con la cultura non si mangia; questa è la cosa peggiore che nel nostro paese si potesse dire, in un paese che ha seminato civiltà … ; che cosa guardano di noi gli altri popoli? Guardano tutto quello che abbiamo potuto costruire in tempi passati e anche la nostra partecipazione attiva che poi in sintesi possiamo definire cultura, comportamenti, valori … 

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