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       D R   C O S I M O   S P A G N U L O      

Monteiasi, Chiesa parrocchiale, 5 maggio 2014 ore 17,20

 

Si sono appena conclusi i funerali in memoria del dr Cosimo Spagnulo. Certamente non avrebbe voluto quello che sto per fare ma dall’alto della sua maggiore età e della sua larghezza di vedute sapeva, e sa ancora adesso, indulgere verso l’operato estemporaneo di persone che osano come tenterò di fare nel mio piccolo.

            Potrei scomodare Manzoni con il famoso “Ei fu, …” ma anche questo richiamo rifugge da quanto potrà riuscire a perdonarmi.

            Partirei, quindi con gli episodi della sua infanzia:

bambino, sveglio, attento, a tratti ubbidiente; suo padre, Luigi, pensa di avviarlo verso l’arte della falegnameria, del “legnaiuolo” col Leopardi. Un mestiere è sempre una cosa importante, sicuramente più leggero dei lavori da contadino, dei lavori campestri. Perciò lo avvia “a bottega” recandolo da mesctu Michele Cassone, via San Marco; questi, falegname doc, ebanista, amministratore dei beni del dr Domenico Corrente-Sergio, già segretario del fascio; vestiva sempre a modo, con giacca e cravatta. All’epoca in cui Cosimo, allora più familiarmente Mimino si recava da Cassone, questi si stava occupando del portellone a vetri che avrebbe “protetto” la statua del Crocifisso collocata nel “suo” cappellone con il dipinto sullo sfondo già realizzato da Ciro Fanigliulo ,“lu milord”, di Grottaglie. Lo stesso, autore dei dipinti in casa Corrente su via Roma, di un ritratto eseguito per conto della famiglia Carulli in omaggio al figlio morto a seguito delle esalazioni emesse da una cisterna posta sul retro della bottega di mesctu Nardinu (da Nardo, quindi da Leonardo).

 La bottega a Mimino piaceva ma l’andamento della disciplina all’interno di essa non gli garbava tanto; all’epoca i maestri non disdegnavano l’uso del manico degli attrezzi sulla testa dei discepoli inconsapevoli.

            Le scuole elementari e i successi conseguiti rendevano indulgente il padre Luigi che se il bambino svicolava rispetto agli impegni da conseguire come maestro in falegnameria, almeno almeno se la cavava con lo studio e quindi, perché non avviarlo ad un corso di studi più prolungato e più promettente per l’avvenire!? Nel frattempo era capitato che la mamma, Filomena Caiazzo era venuta a mancare prematuramente dopo aver messo al mondo due figli: Mimino appunto e la sorella Rosaria (detta Sarina), andata, poi, in sposa a Nicola Sportelli di Carosino. Motivo per cui il padre Luigi si risposò con Rosaria Falco di Billònia (da Apollonia) avendo figli Filomena andata in sposa a Mimino Caiazzo, Antonio coniugato con Raffaella Bologna, Michele con  Giuseppina Stola e Lucia con Antonio Birtolo, detto Ninu.

            A questo punto, mi rendo conto che le cose vanno troppo per le lunghe e, quindi, procederò con veri e propri flash.

  • La scuola media, il ginnasio e forse parte del liceo a Francavilla; collocato a pensione presso una signora (per evitare di fare su e giù con la bicicletta) dimorata in uno stabile che affacciava nell’appartamento di un signore ben istruito e, quindi, assiduo lettore di libri e di quotidiani; questi prese a ben volere il ragazzo dandogli dei consigli utili al proseguimento dello studio.

  • Gli studi liceali vengono completati a Taranto che era difficile da raggiungere a causa delle vicende belliche. Per raggiungere la città, quindi, si recava col treno (come e con tutti gli operai che lavoravano nei Cantieri Tosi) fino alla stazione di Nasisi; da lì partiva un mezzo navale che portava, quanti ne avessero necessità, alla città. Tra questi viaggiava anche Michele Nigro, figlio di Alfonso (abitavano di fronte alla chiesa, oggi la casa è di proprietà della famiglia Nobile), questi da ragioniere aveva ottenuto il posto di lavoro presso il Comune di Taranto; per la cronaca, sposò la maestra Angelico e con essa si trasferì definitivamente a Taranto, avendo avuto una sola figlia: Ave.

  • Completati gli studi a Taranto, c’era bisogno di proseguire con l’università; facoltà preferita, medicina. Quella di Napoli era sicuramente più prestigiosa ma anche quella di Bari, in quegli anni, assurgeva ad università dignitosa e quindi vi si iscrisse.  Il corso di studi era lungo, il più lungo tra le altre facoltà; quindi richiedeva impegno, sacrificio per i frequenti viaggi e per le spese da affrontare; per questo non si lamentava mai presso il padre, ben consapevole dei sacrifici che questi faceva a sua volta: la famiglia, la campagna, due mucche nella stalla che garantivano il latte anche per gli “avventori” che si recavano in via XXV Luglio, al mattino di buon ora, per servirsi del latte da Luigi di mamma’Ntana (precisazione: la mamma di Luigi era Rosaria da cui e per cui il nome Rosaria alla figlia; Luigi, però, aveva una sorella che si chiamava Maria Fontana che divenne madre dei Cordella di Carosino; da questa familiarità col nome Maria Fontana sarebbe derivato il nome identificativo di Luigi; è possibile, pertanto, che sia stata sua nonna a riportare il nome di Maria Fontana, da ‘Ntana e che sarebbe continuato con la sua generazione.

  • Il giovane studente universitario si concedeva ben pochi lussi, divertimenti ridotti al minimo; qualche cenetta alla buona con amici, scoprendo magari all’indomani che quella della sera fatta passare da Cosimo Pacifico per carne di agnello era stata di un cane ben pasciuto; con altri amici, uno dei passatempi estivi preferiti era quello di raggiungere con un altro studente dell’epoca, Ciro Grottoli (studente pure a Bari però in ingegneria civile) di raggiungere un altro studente che pure andava per la maggiore: Francesco Arcadio, detto Ciccio (con una brillante carriera conseguita prima da segretario comunale in un paesino del nord e poi segretario generale della Provincia di Padova, studioso e scrittore di articoli in riviste specializzate di economia e finanza amministrativa; abitava di fronte alla “Cappella” dove vive il fratello Ciro; questi due, Mimino e Ciro si recavano spesso e volentieri da Ciccio perché quest’ultimo vuoi per la presenza dei tedeschi nel periodo bellico, vuoi per l’indole sua personale assumeva atteggiamenti rigidi e rigorosi appunto “alla tedesca”; motivo per cui rispondeva di frequente agli sfottò degli amici col termine “Sei ruhig!” per dire “sta’ zitto!, e allora scoppiavano le risate fragorose. L’aspetto piacevole della situazione era dato dal fatto che il tutto avveniva nell’amenità del giardino Lotta, posto di fronte al palazzo. Prima che venisse scempiato dall’incuria e colpevolezza cittadina, era un giardino ridente alla mediterranea, con vialetti e con un gelso gigantesco al centro; com’era ridente, d’altronde la tagliata della famiglia Lotta, recintata nel 1797 e poi ridotta allo stato attuale. Il verde, il fresco dell’ombra degli alberi, l’età e la spensieratezza giovanili facevano il resto; con Arcadio ebbe modo di frequentare la Palombara e i frutti prelibati che offriva, dai fichi ai fichidindia, all’uva, preziosa per il “succo” tanto apprezzato; appena laureato assolse il servizio militare, da ufficiale medico a Pisa, se non ricordo male.

  • Quindi, il rientro in paese, da medico; frequentando il dr Torrente si era già avviato all’arte medica, ma anche da solo, fra amici e parenti, aveva avuto modo di applicarsi accreditandosi i primi potenziali “clienti”.

  • I primi tempi non furono proprio facili: c’era da conquistarsi la simpatia dei compaesani abituati a vedere il dr Torrente come unico medico del paese; c’era da superare le aspirazioni un po’ velleitarie di medici che arrivavano da Grottaglie alla ricerca di potenziali clienti. Fra questi, c’era un giovane laureato che si appoggiava ad una famiglia del paese e cercava di fare proseliti; veniva in bicicletta e siccome era appena laureato lo chiamavano il “dottorino”.

  • Il primo studio fu aperto di fianco alla casa di Enrico Leuci su via Roma al n° 30 (poi demolito e reso parte del negozio di Mimmo Galeone), c’erano delle scale da salire; quello divenne luogo per ricevere i pazienti ma anche per passare il tempo alla sera con gli amici più stretti, Franco Corrente marito di Palmina Maggi, Cosimo Castelli, Michele Matichecchia (poi “Don”), altri. Cosimo Castelli era particolarmente “prezioso” anche perché questi aveva profonda relazione col Mar Piccolo (il padre, Cataldo era stato fiduciario dei Cavallo, fittavoli del Battendiero), il che equivaleva a recarvisi nei mesi estivi e portare sulla graticola i pesci pescati con la rete. La seconda e ultima sede dello studio-ambulatorio fu al n° 26.

  • Arrivò così l’epoca dell’acquisto della prima automobile, una 1100 Fiat se non erro, poi arrivò la Fulvia della Lancia e quindi la Dedra della stessa Lancia; queste in compagnia di una 500 Fiat per le visite in paese. Con la quattro ruote cominciarono pure i viaggi, specie nel corso delle ferie estive quando poteva disporne; fra i compagni più assidui c’era Pinuccio Frascella.

  • Nel frattempo s’imponeva il problema della compagnia femminile, per la vita; sul fare della metà degli anni ’60, era venuta a Monteiasi, Tommasa Greco,  per insegnare da prof.ssa di lettere nella scuola media; quindi ebbero modo di conoscersi e di sposarsi. Encomiabile l’attaccamento nutrito da fidanzato in quanto per raggiungere Taranto, erano frequenti i viaggi col pullman di linea pur disponendo dell’auto che gli avrebbe assicurato maggiore autonomia negli orari.

  • Quindi, il matrimonio, la casa nell’appartamento di Pietro Sibillio in via Trieste, i figli Filomena, Luigi, Lucio (per ricordare il fratello della sig.ra Tommasa perito in un incidente stradale mentre veniva “giù” da studente universitario per le vacanze natalizie), Irma, cresciuti sempre con sommi sacrifici per l’impegno lavorativo di entrambi i genitori; la soddisfazione, infine, di disporre di una casa propria su viale De Gasperi per consentire la passione condivisa per il verde e per disporre degli spazi utili all’intera famiglia che nel frattempo raggiungeva un traguardo di tutto rispetto: quello di essere composta da sei persone tutte fornite di diploma di laurea.

  • La professione sempre esercitata all’insegna della massima sensibilità e disponibilità verso tutti indistintamente a prescindere dal rapporto di clientela. Tantissimi casi difficili con interventi chirurgici risolti senza i ricoveri ospedalieri resi difficili se non impossibili dalla mancanza di mezzi; tante le persone salvate sul momento del bisogno, qualche nome: Salvatore  Matichecchia di Nunziata Cannalire, Biagio Danucci, Antonio Marinelli, tantissimi altri.

  • Solo qualche peccato veniale: quando rilasciava certificati per malattia a persone che non “amavano” tanto il lavoro in Italsider; non lo faceva per contravvenire ad uno scrupolo professionale, lo faceva perché era consapevole che pur di non recarsi al lavoro, alcuni si sarebbero “privati” perfino di una mano o di un piede.  

  • La politica. Non si è mai lasciato sfiorare dall’idea di occuparsi di ruoli politico-amministrativi; ricordo perfettamente di essermi rivolto a lui più volte specie nel ’66 quando c’era bisogno di un capolista per la DC. Non volle saperne. La scelta cadde, allora sul dr Cosimo Ladogana, un altro medico vissuto, però, fuori da Monteiasi per l’intero corso di studi. Il dr Spagnulo seguiva le vicende politiche sia come conoscenza dei fatti a livello locale, sia come cultura politica con la lettura di libri e giornali; per tutta la sua vita non ha mai lasciato trasparire le sue scelte, salvo parlarne in termini generali con gli amici di più stretta fiducia. Ha tenuto, intanto, sempre a rispettare le collocazioni politiche che si ispiravano a quella che oggi diremmo “sinistra” ma non era una scelta di partito, era, invece, una visione della vita che esigeva rispetto per le persone deboli, per gli incapienti (si usa dire oggi); nel suo panorama mentale erano sempre presenti gli sforzi e i sacrifici fatti per occuparsi in prima persona di lavori fisicamente impegnativi, del contadino, del salariato, per giungere sempre solo e semplicemente al modello paterno; il lavoro in giardino sul far della vecchiaia non è stato un passatempo, un modo per tenersi in forma, no, è stato un modo per recuperare quello che avrebbe fatto volentieri da giovane per risparmiarlo al padre; una sorta di recupero multis post annis per dire al padre “vedi che pure io avrei avuto la volontà di aiutarti se non fossi stato preso dai maledetti studi!”. Pertanto la politica avrebbe dovuto/doveva avere in considerazione il mondo agricolo con tutte le problematiche annesse e connesse, non esclusa la particolarità degli allevamenti (vedi la presenza delle mucche nella stalla). Di tutta questa trepidazione interna non lasciava mai traccia di visibilità verso l’esterno; c’è sempre stata una forma di pudore che lo ha inchiodato ad un credo per cui si parla e si discetta solo su cose piacevoli, conviviali, speculative ma su un piano intellettuale elevato, filosofico, teoretico (vedi le relazioni fatte in chiesa per il 25° di don Leonardo Marzia, vedi la presenza nel coro parrocchiale, vedi le frequentazioni con don Antonio Nigro quando andava di proposito a trovarlo a casa, …); non si può scrivere di un mondo di sfaceli (vedi la guerra), di un mondo di sacrifici sovrumani (vedi sopra); più volte l’ho sollecitato a scrivere di tanto e di tutto: di medicina popolare, di termini dialettali, di episodi vissuti o conosciuti in epoche passate: niente da fare, mai! Per tutti gli anni della pensione ha continuato a fare il medico in ogni passo percorso in paese, in ogni momento di appello e/o di chiamata ma non ha mai rinunciato a stare con se stesso, per ore, per giorni, restando in casa o recandosi di soppiatto in chiesa quando sapeva di poter essere da solo col “suo” Dio. La politica, quindi, diveniva materia per “altri”, per altri che avessero una visione diversa della vita, per altri che non avrebbero sofferto lo stesso”dolore” nell’occuparsi di cose reali ed importanti del prossimo, per il prossimo.

  • La fine. La sua struttura mentale poteva reggere per secoli e di questo ne era consapevole, così come era consapevole dei fastidi sporadici derivanti dall’essere presente in un corpo. Ha affrontato dolori ed episodi per le perdite in famiglia di portata inenarrabile, però sempre chiusi nel forziere della discrezione, del pudore come forma di vita. Di recente ho visto che si lasciava crescere la barba; non era per un fatto estetico; ho supposto che fosse dovuto ad un qualche episodio epidermico. Non è stato così, visto “l’incidente” finale. Evidentemente sapeva di qualcosa di sé o di altri che non poteva più essere contenuto nel forziere; era troppo pieno! Per non dare fastidio da morto avrebbe fatto volentieri a meno di nascere, specie per non essere costretto a leggere queste mie …

 

Aldo Galeano

MIMMO LANEVE

 

Caro Aldo, anch’io desidero associarmi, con una brevissima riflessione, a quell’operare estemporaneo a cui tu hai accennato nella tua emozionante e splendida missiva della quale ci hai fatto dono, sperando che il dott. Spagnulo sia “indulgente” anche nei miei confronti.

Inizio col dire che nella società odierna, tecnologica e mediatica, tutto deve essere reso visibile e fruibile in tempo reale. Infatti, ciò che non entra nel “circuito” viene lasciato fuori perché non fa audience. E’ una società basata sul consumismo, dove si vive non tenendo in giusto conto il passato, le proprie radici, e il futuro viene percepito solo come grande incertezza e insicurezza. Così facendo si perdono, progressivamente, tutti i principali punti di riferimento, si diventa entità anonime in un contesto privo di ogni valore etico che genera solo confusione, smarrimento e, paradossalmente, solitudine.

Il dr. Spagnulo, al contrario, col suo vissuto, in parte anche “solitario”, ci ha dimostrato, ancora una volta, che le persone ricche di valori pregnanti, quelli autentici, non hanno bisogno di alcun espediente mediatico per essere riconoscibili, attivamente presenti e sicuri punti di riferimento di una comunità, grande o piccola che sia.

A mio modo di vedere il suo essere “burbero”, come spesso viene descritto, era, forse, solo il tentativo di costruirsi una corazza per potersi difendere meglio dagli attacchi esterni, da quegli influssi malefici che la società ci propina ogni giorno; un modo per difendere i valori in cui credeva e a cui si aggrappava tenacemente, e che per nessuna ragione al mondo avrebbe mai ripudiato anche a costo di grandi sofferenze e sacrifici, come ha dimostrato durante tutto il corso della sua esistenza terrena. L’etica, la morale, il rispetto per se e per il prossimo, la famiglia, l’educazione, la cultura, la fede questi erano i suoi imperativi di una vita vissuta in sobrietà, senza eccessi di alcun genere e nella discrezione. Ed è proprio in questo suo vissuto discreto, a parer mio, il segreto della sua “levatura”, del suo essere persona, prima che buon medico, che lo ha reso speciale agli occhi di tanta gente, anche di coloro che non l’ hanno frequentato o che non erano suoi pazienti. Il Dott. Spagnulo era da tempo un punto fermo per la nostra comunità, ma oggi, dopo che ci ha lasciato, lo è ancor di più, è una garanzia di vita vera, un faro, una bussola per potersi orientare in ogni momento della nostra vita. E’ un modello di riferimento come pochi a cui ispirarsi, a cui tendere, per trovare la giusta “cura” contro i mali che ci affliggono. Lui ci ha insegnato un “metodo” semplice ed efficace per non banalizzare la nostra esistenza, per non rendere vani tutti i tentativi miranti a rendere migliore il nostro mondo che è animato, in gran parte, da modelli di vita “imposti” da un contesto privo di valori veri.

Certamente la sua improvvisa dipartita ci ha lasciato increduli e sgomenti ma, a maggior ragione, questo ci deve far riflettere ulteriormente sulla estrema caducità della nostra esistenza e su quanto siano importanti i valori e i modelli di riferimento.  Grazie Dr Spagnulo per la Lectio Magistralis che ci hai impartito, sapremo farne tesoro!

 

Mimmo Laneve 

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